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martedì 10 novembre 2009

VIA POMA 19 ANNI DOPO: IL "FESTIVAL DELLA SUPERFICIALITA' "




Ventuno anni ancora da compiere, un lavoro come segretaria contabile presso l'Aiag ( Associazione italiana alberghi della gioventù), una famiglia come tante. É il 7 agosto 1990 e Simonetta Cesaroni deve sbrigare le ultime pratiche in ufficio prima di andare in ferie. La giovane solitamente fa ritorno a casa verso le 20. Ma quella sera ritarda. Tre ore e mezza dopo, la terribile scoperta: la sorella Paola, il suo fidanzato, la moglie del portiere dello stabile e il datore di lavoro di Simonetta la trovano cadavere sul pavimento nell'ultima stanza della sede dell'Aiag a Roma, in via Carlo Poma 2, all'interno di un elegante stabile nel quartiere Prati. 29 fendenti inflitti con un tagliacarte hanno messo fine alla sua giovane vita. Oggi, a 19 anni di distanza, arriva il rinvio a giudizio per omicidio volontario per Raniero Busco, all'epoca dei fatti fidanzato della Cesaroni.
Appare lecito porsi alcuni quesiti alla luce degli ultimi clamorosi sviluppi della vicenda: come mai c'è voluto un lasso di tempo così ampio per arrivare ad una svolta così pesante? Non si poteva arrivare in tempi più brevi ad una soluzione del caso? Raniero Busco oggi ha 44 anni, una moglie e due figlie: è giusto darlo in pasto ai media con la peggiore delle accuse rovinandolo, comunque vada, per sempre?
Ma andiamo con ordine, se è possibile utilizzare questo termine in una storia contraddistinta da una serie infinita di errori e omissioni.
Subito dopo il delitto gli inquirenti concentrano la loro attenzione su Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile. É il primo errore nelle indagini. Vanacore non avrebbe un alibi tra le 17,30 e le 18,30, ora in cui è avvenuto il delitto, e su un paio di pantaloni dello stesso Vanacore vengono ritrovate tracce di sangue. É “il colpevole perfetto”: 26 giorni di detenzione prima del dietrofront dei giudici. Sembrerà incredibile ma Vanacore deve il carcere, oltreché alla superficialità degli inquirenti, alle emorroidi che hanno macchiato di sangue i suoi pantaloni.
Nel marzo del 1992 un austriaco di nome Roland Voller afferma di sapere il nome dell'assassino di Simonetta: è Federico Valle, nipote di un anziano architetto che vive proprio nel palazzo dove c'è stato il delitto. Avrebbe ucciso la Cesaroni per porre fine ad una fantomatica storia d'amore tra la ragazza e suo padre Raniero. Anche in questo caso gli inquirenti non si dimostrano all'altezza della situazione e Valle viene indagato per omicidio. Hanno creduto ad un personaggio di dubbia moralità come Voller, truffatore di professione con contatti nel mondo dell'alta finanza. Nel giugno dell'anno seguente, grazie alla prova del dna sulla maniglia della porta dell'appartamento in cui è stato ritrovato il cadavere, il giovane viene prosciolto.
Bisognerà attendere il 2004 per uno scossone nelle indagini: i carabinieri del Ris di Parma trovano un dna di sesso maschile, sotto forma di tracce di saliva, sul corpetto e sul reggiseno che la vittima indossava al momento della morte. Miracoli della scienza e dell'innovazione tecnologica, si dirà, cercando di far ripartire un'indagine che si era arenata più volte. Su 31 prelievi effettuati per la comparazione con le tracce rinvenute sui reperti appartenuti alla vittima, soltanto uno dà esito positivo: è il dna di Raniero Busco, il fidanzato di Simonetta. Trascorrono altri tre anni e Busco viene formalmente iscritto nel registro degli indagati. Ad inchiodarlo ci sarebbe anche la compatibilità tra la sua arcata dentaria e il segno lasciato da un morso sul seno della vittima. L'accusa: aver massacrato la sua ragazza verosimilmente al termine di una lite.
La difesa: le tracce di dna risalgono ad un incontro precedente tra i due fidanzati in cui Busco e la Cesaroni si sarebbero scambiati effusioni, come normalmente accade tra due persone legate sentimentalmente.
Il rinvio a giudizio è storia di questi giorni e il 3 febbraio prossimo Busco dovrà presentarsi davanti ai giudici della III Corte d'Assise del Tribunale di Roma. La mamma della vittima, attraverso il proprio legale di fiducia, ha mostrato la sua rabbia nei confronti degli inquirenti, sottolineando come quegli esami, che oggi incastrerebbero Busco, si sarebbero potuti effettuare anche 19 anni fa. D'altro canto però, la signora Cesaroni ha espresso soddisfazione perché finalmente si potrà svolgere un processo sulla morte della figlia. Ma a processo c'andrà “l'uomo giusto”? O Raniero Busco è soltanto l'ultimo inconsapevole protagonista di una crime fiction a cui nemmeno il più sconclusionato degli autori televisivi avrebbe potuto pensare? Al Tribunale di Roma l'ardua sentenza.

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